Fra le solite incongruenze del sistema Italia, il tessuto operativo prova a rimettersi in marcia
Buona ripartenza, con la speranza che gli ultimi tre mesi qualcosa abbiano insegnato a chi è chiamato a dare una sostanziosa raddrizzata alla nostra economia, in un mondo che ormai ci ha preso gusto a cambiare repentinamente. La nostra imbarazzante fragilità, che comunque non è unica in Europa e nel mondo (ma non è un sollievo) ci ha portati ad arrancare come non mai, anche perché veniamo comunque da anni difficili. Ne sanno qualcosa le imprese nostrane, cui lo stato deve ancora circa 6 miliardi di euro di crediti arretrati. Se non fossimo i disastrati che siamo, le roboanti cifre di cui si sente parlare invece di diventare prestiti, e quindi altre forme di indebitamento, potrebbero iniziare a compensare i debiti dello stato verso le imprese che ne hanno diritto.
C’è gente che rischia di chiudere, e ci sono operatori che in poco più di un anno realizzano un ponte sulle ceneri di un altro, un’opera da 200 milioni che è stata dispensata dalla burocrazia, visto che in Italia, mediamente, occorrono sedici anni per portare a termine opere del valore superiore a 100 milioni.
Allora forse un’altra Italia esiste, e non è quella che da anni e anni si è dimenticata delle macerie del Centro Italia, solo per fare un doloroso esempio. Riapriamo fiduciosi e magari anche emozionati, pronti a cambiare ancora una volta il nostro modo di stare sul mercato. E a provare, con la nostra competenza e la nostra volontà, la nostra responsabilità che è anche sociale, a rimettere in piedi la baracca, ancora una volta.