In attesa della volontà politica indispensabile per cambiare le cose, un po’ tutti i settori si interrogano sul futuro di un comparto che pare destinato a rimanere il fanalino di coda del’imprenditorialità nazionale
Secondo la Legge di Bilancio 2018, per le infrastrutture sono stati stanziati 140 miliardi di euro per i prossimi quindici anni. Ce ne sarebbe quindi a sufficienza per vedere un bel segno più nelle congiunturali dei prossimi tre lustri. Ma la legge (che non ammette ignoranza) ignora che per disporre di queste risorse si deve passare sotto le forche caudine della burocrazia.
Se ne sono resi conto anche i professionisti di Atecap, Federbeton e di altre sigle che gravitano dell’universo del cemento e del calcestruzzo, che si sono incontrati qualche giorno fa a Bologna, in occasione della Croncrete Conference.
Si tratta di risorse destinate alle infrastrutture, alla messa in sicurezza del territorio e delle scuole, delle rete viarie e dei progetti locali. Manca però una vera e propria regia (e qui ci sarebbe da discutere, ma glissiamo) perché se intervenire costa, non farlo costa molto di più. A supporto di questa tesi, il rapporto ha portato alcuni esempi di come certi interventi, oltre a rimettere in moto l’economia di settore, farebbero anche bene ai denari della collettività. Ne riportiamo uno, a titolo d’esempio: “Costruire una tangenziale di una grande area metropolitana di 40 km costa 1,4 miliardi di euro, ma non farla costa alla collettività 3,7 miliardi di euro, oltre il doppio. A questa cifra si arriva considerando i principali benefici che sono gli effetti in termini di tempo risparmiato, l’impatto dell’incidentalità e l’impatto atmosferico. Il costo è dato solo dall’investimento iniziale”.
Ognuno può quindi trarre le sue conclusioni. In assenza di una precisa volontà politica non si comprende però come possano cambiare le cose.
