Alcune considerazioni sulle recenti disposizioni di governo in materia di semplificazione delle procedure nel settore delle costruzioni. In arrivo cambiamenti positivi per l’edilizia.
I settori dell’edilizia e delle costruzioni hanno avuto una parte di rilievo nell’attività di governo. Le grandi opere – 130 secondo le parole del presidente del Consiglio – sono state sbloccate e certamente si tratta di un segnale importante, se non altro a livello di immagine. Poi però è meglio approfondire, e magari tentare di utilizzare il buonsenso, come invocano gli automobilisti che si fanno decine di chilometri di coda perché adesso, esageriamo ma è per semplificare il concetto, per infantile eccesso di zelo non appena c’è una briciola di asfalto sulla carreggiata si blocca la corsia e si fa partire un cantiere. Naturalmente, è un bene che le opere vengano sbloccate, ma il nostro settore non è solo fatto di infrastrutture: c’è tutto il resto che ha altrettanto bisogno di essere normalizzato e incentivato. Ma anche solo non ostacolato: basterebbe per garantire la ripresa.
A questa condivisibile considerazione risponde la nuova disposizione che elimina la gara d’appalto per le opere fino a 150.000 euro (prima la soglia era 40.000). Ciò significa che le pubbliche amministrazioni potranno assegnare direttamente alle imprese i lavori fino a quell’importo. Rimane invece la deplorevole intenzione del “criterio di rotazione” delle imprese che, di fatto, va in pieno contrasto con un obiettivo forse dimenticato, quello della qualità degli interventi: non si tratta infatti di far lavorare tutti per forza, ma di privilegiare le imprese magari specializzate, certificate, che pagano i contributi ai dipendenti e che garantiscono i più elementari principi della sicurezza sul lavoro.
Ancora una considerazione quasi più morale che tecnica. Anni fa, qualcuno lo ricorderà, i funzionari pubblici avevano deciso di non firmare più niente, per evitare ripercussioni a livello legale. Le nuove norme prevedono che quelle ripercussioni saranno da ora indirizzate a chi non firmerà. Torna quindi in auge la vituperata “assunzione di responsabilità”, anche se i dubbi sul repentino cambio di direzione non mancano. Non basta un decreto per cambiare le teste, e quando si parla di responsabilità il nostro paese non ha davvero molti esempi eccellenti.
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