Costruire seguendo i canoni dell’efficienza energetica e dei materiali più o meno naturali non è ancora una pratica accettata e diffusa, ma alcuni dati possono far riflettere
La querelle riguardante i metodi costruttivi e l’impiego di determinate tipologie di materiali (tradizionali o green), sia in ambito costruttivo, sia in quello della ristrutturazione, non ha smesso di generare commenti, a favore dell’una o dell’altra soluzione. Premesso che la distribuzione edile, salvo qualche raro caso, è schierata con il tradizionale, anche in ossequio alle desiderata del cliente tradizionale, che non cambia idea da quarant’anni e non capisce perché dovrebbe farlo ora, è noto come gli unici, timidi paladini del “green building” siano i privati che, verso gli interlocutori principali della filiera delle costruzioni (rivendite, imprese, artigiani) hanno un unico ma seminale vantaggio: pagano.
Non devono quindi stupire i dati che arrivano dal Primo Osservatorio sui vantaggi della sostenibilità in edilizia presentato da Scenari immobiliari: “un investimento in un’operazione immobiliare sostenibile comporta incrementi di costi di costruzione o di ristrutturazione fra il 5 e il 10% del totale, ma consente di realizzare incrementi di valore (tra il 2 e il 10%), canoni sensibilmente superiori (tra il 2 e l’8%) e forte diminuzione dei tempi di vendita (da 8 a 4 mesi)”. Si tratta, come è facile intuire, di nuovi argomenti di consulenza e vendita che possono qualificare. Il privato è già pronto, la distribuzione forse.